Peppino Impastato, vittima della Mafia e simbolo della conto-informazione attraverso la sua Radio Aut.
Peppino (Giuseppe) era nato a Cinisi il 5 gennaio 1948, da una famiglia stimata e di buona reputazione, anche grazie allo zio Cesare Manzella, un boss mafioso della piccola città. Dopo la morte di don Cesare, saltato in aria con un’autobomba piazzata da un boss mafioso rivale, conosce un pittore locale, Stefano Venuti, membro dichiarato del partito comunista in Sicilia, che finisce per prendere Peppino sotto la sua ala. Peppino, contro il volere della sua famiglia, mette la sua energia persistente e ostinata a servizio del partito comunista siciliano. Nel 1965 fonda il giornalino L’idea socialista e aderisce al PSIUP. Durante una protesta, con i suoi compagni del Partito Comunista, contro il governo, che stava espropriando la terra che apparteneva agli agricoltori locali per costruire un aeroporto, viene perfino arrestato. Peppino diventa sempre più estremo nel suo odio per la mafia, e cresce in lui la necessità di esporre tutta la corruzione che sta accadendo in città. Così nasce la rottura tra Peppino e la sua famiglia (principalmente con il padre).
Questo non frena Peppino, che crea con i suoi amici una stazione radio, chiamata “Radio Aut”, nelle cui trasmissioni era libero di condannare la mafia e raccontare la partecipazione di don Tano (Gaetano Badalamenti) nel traffico di droga e in tutti gli appalti e gli interessi locali.
Radio AUT riscuote un grande successo, ma naturalmente diventa molto scomoda. Badalamenti (definito Tano seduto durante le trasmissioni) inizia a preoccuparsi di quella voce e delle verità svelate. Decide di lanciare un severo avvertimento: il padre viene investito da una macchina, sicuramente in maniera non casuale, durante la passeggiata che dal suo ristorante portava verso casa. Peppino reagisce in maniera opposta. Da questo punto, comincia a dubitare dell’impegno del popolo di resistere alla mafia. Si sente solo nella sua resistenza. Decide di candidarsi alle elezioni in una corsa elettorale locale, sotto il simbolo di Democrazia Proletaria.
Ma non conoscerà l’esito di quelle elezioni: la mafia decide che era giunto il momento di sbarazzarsi anche di lui e delle sue parole scomode. La notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, gli scagnozzi di don Tano lo trascinano fuori dalla sua auto, lo picchiano fino a che non si può muovere, lo legano ai binari della ferrovia imbottito di tritolo e lo fanno saltare in aria.
Nonostante le prove evidenti di omicidio mafioso, la polizia giudica il caso come atto terroristico suicida. Al suo funerale c’è una grande manifestazione di sostegno da parte delle tante persone che lui aveva incontrato nei suoi dieci anni di antimafia e di lavoro nel partito comunista. I giornali, però, non danno molto risalto alla vicenda, in quanto, proprio la mattina del 9 maggio viene ritrovato il corpo dell’on. Aldo Moro, in Via Caetani a Roma.
Il caso è stato trattato come un suicidio fino al 1997, quando è stato riaperto. L’esito del processo ha visto Gaetano Badalamenti condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Peppino Impastato.