Ulisse e Polifemo, atavica lotta tra intelligenza e forza
Ulisse e Polifemo, dal racconto più ricordato dell’Odissea, rappresentano l’eterna contesa tra il piccolo-astuto uomo e il gigante forzuto-ingenuo.
Questa storia si ripete con Eracle e Alcioneo, Davide e Golia, e tanti altri miti a noi noti.
Di solito, l’intelligenza vince sulla forza: questo è il messaggio lasciatoci dalla mitologia.
Ma guardiamo nel dettaglio la caratteristica dei nostri due antagonisti:
Polifemo è mostruosamente grande, ha un occhio solo, ha significative carenze nell’intelligenza, non ha spirito né morale eroica, è sgraziato, comico, paradossale; insomma, è il perfetto antieroe.
Ulisse, invece, è dotato d’intuito e intelligenza, si adatta alle più inaspettate situazioni, è molto astuto, è un ragionatore, ha grande costanza e sopportazione, incarna perfettamente tutte gli attributi dell’eroe moderno.
E’ chiaro già da subito come andrà a finire.
Ma seguiamo la storia, riassumendo quella narrata da Omero e da essa potremo cogliere la volontà dell’autore di esaltare la virtù eroica della sua patria, fatta di uomini (non divinità) comuni e fuori dal comune.
Il mito di Ulisse e Polifemo
Ulisse, re dell’isola greca Itaca, nel suo peregrinare dopo la vittoria di Troia, durante il ritorno a casa con le sue dodici navi, si imbatté nelle ire di Zeus.
La sua flotta fu sballottata per tutto il mediterraneo, finché intravidero una grande isola con un vulcano che eruttava fumo e lapilli incandescenti.
Sul fondo si vedevano greggi di pecore che fecero molta gola ai naviganti stremati.
Ecco, quindi, che approdarono in Sicilia, vicino all’Etna, nella terra dei Ciclopi.
In quest’isola vivevano sette fratelli, tutti giganteschi e mostruosi, tutti figli di Poseidone (il dio del mare).
Tutti avevano un unico grande occhio in mezzo alla fronte e vivevano di pastorizia.
Polifemo era Il primogenito e il più spaventoso
Ulisse e i suoi nel giaciglio di Polifemo
Polifemo pascolava le sue greggi quando Ulisse e i compagni giunsero davanti la sua grotta.
Ulisse sperava nell’ospitalità del Ciclope e per questo aveva portato in dono molto vino.
Rimasero ad attenderlo per ore, ma poi il gigante rientrò nella grotta.
Solo dopo tempo, però, notò i dodici uomini nascosti dietro la roccia.
La sua rabbia crebbe in maniera inaspettata per i poveri greci, tanto che il ciclope prese due uomini e li ingoiò in un boccone.
Subito dopo, chiuse il giaciglio con un grande masso e si mise a dormire.
Ulisse, atterrito, cercava di studiare un piano per uscire da quella situazione, ma non gli venne in mente niente se non provare a nascondersi tra il gregge e tentare la fuga il mattino seguente.
Il piano non andò a buon fine, perché il ciclope si accorse dei greci mischiati tra le pecore e ne mangiò altri due prima di uscire e serrare di nuovo il varco.
Il piano di Ulisse
Ulisse notò un tronco buttato per terra e questo gli diede una nuova idea, forse più risolutiva.
Chiese ai suoi uomini di appuntire un lato del tronco e di trascinarlo in un angolo.
La sera, Polifemo rientrò e, dopo aver munto le sue pecore, mangiò altri due uomini.
A questo punto, Ulisse uscì allo scoperto e si rivolse al ciclope offrendogli del vino greco, con la scusa che questo accompagnasse bene i pasti a base di carne.
Dopo un momento di scetticismo, Polifemo accettò il dono e bevve il vino.
Nel frattempo chiese ad Ulisse il suo nome e questi gli mentì dicendogli di chiamarsi Nessuno.
Il gigante promise a Nessuno che lo avrebbe mangiato per ultimo, poi cadde in un sonno profondo.
Allora Ulisse ed i suoi compagni presero il tronco preparato, lo arroventarono nel fuoco e prendendolo tutti insieme lo conficcarono nell’unico occhio del ciclope.
Nessuno mi ha accecato
Un urlo terribile uscì dalla gola del mostro, che fece tremare tutta la montagna.
Gridava di non vedere più niente e, nel frattempo, cercava di acciuffare i greci con le mani.
Ulisse disse ai suoi amici di aggrapparsi al ventre delle pecore, così, quando il gigante raccoglieva una pecora l’avrebbe riconosciuta dalla lana e l’avrebbe scartata.
Così andò, infatti, e il ciclope pensò che fossero fuggiti tutti.
Intanto, i fratelli di Polifemo si erano avvicinati alla sua grotta a causa delle grida tremende che risuonavano.
Nessuno di loro aveva il coraggio di entrare, però, perché conoscevano la sua irascibilità.
Alla domanda di chi gli avesse fatto del male lui rispondeva “Nessuno”, intendendo il nome datogli dal condottiero greco.
I ciclopi, quindi, si sentirono presi in giro e se ne andarono via.
La fuga dei greci
I greci scapparono, andarono verso la nave e in breve tempo si allontanarono dalla costa.
Intanto Polifemo, camminando alla cieca, cercò di raggiungere i fuggitivi, ma ormai era troppo tardi. A questo punto, Ulisse, ritenendosi oramai al sicuro, dalla prua della sua imbarcazione, si rivolse al Ciclope dicendogli che chi lo aveva accecato era Ulisse, il re di Itaca, e non Nessuno.
Il Ciclope, udite queste parole, andò fuori di senno.
Allora, insieme ai suoi fratelli prese a lanciare enormi massi nel mare, con l’intento di colpire le navi dei greci.
Questo tentativo, insieme a tanti altri, fu vano.
Ulisse ed i suoi prodi, grazie al vento favorevole, si misero in salvo e presto giunsero nelle isole Eolie, dove risiedeva Eolo, il dio dei venti.